Assenza ingiustificata e comportamento fraudolento del lavoratore: conseguenze disciplinari
Gentile Cliente,
È ben noto come il lavoratore abbia diritto ad assentarsi dal lavoro per motivi giustificati come ferie, malattia, permessi, infortunio. In tali casi, l’assenza è legittima e il lavoratore vede riconoscersi la corresponsione della retribuzione, o talvolta indennità a carico degli enti previdenziali preposti.
Nei casi in cui, invece, il lavoratore si assenta senza fornire una giustificazione, perde il diritto alla retribuzione e può incorrere in sanzioni disciplinari. La gravità della sanzione viene di regola stabilita dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicato, il quale in via generale prevede che: per assenze brevi e non reiterate, si applichino sanzioni conservative (ammonizioni, sospensioni, ecc.); Per assenze prolungate e senza giustificazione, si possa arrivare al licenziamento.
Di norma, il CCNL prevede che un’assenza ingiustificata prolungata (solitamente tra 3 e 5 giorni) possa avviare un procedimento disciplinare, che può culminare nel licenziamento per giusta causa, qualora il lavoratore non fornisca una spiegazione valida.
Il datore di lavoro, tuttavia, deve rispettare precise procedure disciplinari stabilite dall’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), che impongono: una contestazione chiara e dettagliata dell’infrazione; un tempo ragionevole affinché il lavoratore possa difendersi; l’obbligo di ascoltare il lavoratore o ricevere una sua difesa scritta prima di decidere la sanzione. Solo dopo tale iter, il datore può decidere se applicare una sanzione conservativa o procedere con il licenziamento.
Il caso della Cassazione (pronuncia n. 30613/2024)
Un recente caso esaminato dalla Corte di cassazione ha chiarito come non sia solo la durata dell’assenza ingiustificata a determinare il licenziamento, ma anche il comportamento complessivo del lavoratore.
Il caso di specie riguardava un direttore di un punto vendita che:
- Non aveva avvisato il suo responsabile del ritardo nel rientro dalla pausa pranzo.
- In serata si era allontanato, lasciato la città senza comunicarlo, prendendo un volo per Milano.
- Il giorno successivo non si era presentato al lavoro, giustificando telefonicamente l’assenza con presunti problemi di salute del coniuge.
- Aveva lasciato intendere di trovarsi ancora in città, quando in realtà si trovava altrove.
A seguito di questa condotta, il datore di lavoro avviava il procedimento disciplinare, il quale si concludeva con il licenziamento per giusta causa.
Il lavoratore impugnava il provvedimento, ma la Corte d’Appello di Cagliari (Sezione di Sassari) confermava la legittimità del licenziamento.
Il dipendente presentava dunque ricorso in Cassazione, sostenendo due motivi principali:
- La sproporzione tra sanzione e infrazione, in quanto il CCNL applicato in azienda prevedeva il licenziamento solo per assenze ingiustificate superiori a tre giorni, mentre la sua assenza era di un solo giorno.
- La violazione delle norme contrattuali, che a suo dire avrebbero previsto una sanzione meno grave (ad esempio, una sospensione).
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte, esaminate le rilevanze del caso, respingeva il ricorso del lavoratore, evidenziando due aspetti fondamentali:
- Il giudizio sulla proporzionalità della sanzione spetta ai giudici di merito, e può essere contestato in Cassazione solo in casi di gravi vizi giuridici, come motivazioni contraddittorie o incomprensibili.
- L’infrazione disciplinare non riguardava solo l’assenza ingiustificata, ma il comportamento fraudolento del lavoratore, che aveva deliberatamente ingannato l’azienda per recarsi altrove per motivi personali, violando il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.
In particolare, la Corte sottolineava che:
- La condotta del lavoratore non si limitava all’assenza ingiustificata, ma includeva menzogne e tentativi di occultare la reale motivazione dell’assenza.
- La posizione di responsabilità del lavoratore (direttore di punto vendita) aggravava la sua colpa, perché un ruolo dirigenziale richiede un livello di affidabilità e correttezza ancora maggiore.
- L’elemento centrale non era la durata dell’assenza, ma la premeditazione e la scarsa considerazione delle esigenze aziendali.
La durata dell’assenza viene posta in secondo piano, emergendo, invece, con forza l’aspetto della truffa architettata dal lavoratore, tale da ledere, irrimediabilmente, il legame fiduciario con il proprio datore di lavoro.
Prevalgono, dunque, quei concetti di correttezza e buona fede che, per entrambe le parti, sono di fatto i pilastri del rapporto di lavoro subordinato. La loro palese violazione quindi, ex articolo 2119, cod. civ., giustifica il recesso datoriale per giusta causa.
In tale scenario, pertanto, le norme contrattuali cedono la scena, ponendosi la condotta del lavoratore al di fuori dell’osservanza dei leciti canoni di comportamento.
Questo caso evidenzia che:
- L’assenza ingiustificata può portare al licenziamento, ma non è solo la durata dell’assenza a determinare la sanzione: conta anche il comportamento complessivo del lavoratore.
- Le menzogne e l’intenzionalità di occultare la verità possono essere motivo di licenziamento per giusta causa, anche in presenza di un’assenza breve.
- Il licenziamento può essere giustificato anche senza il superamento del limite dei tre giorni previsto dal CCNL, se il comportamento del lavoratore mina la fiducia del datore di lavoro.
In definitiva, la violazione della fiducia e della correttezza nel rapporto di lavoro può essere più rilevante della semplice assenza, giustificando anche il licenziamento immediato.