Dimissioni per fatti concludenti: la nuova procedura
Gentile Cliente,
Il disegno di legge “Collegato Lavoro alla legge di Bilancio 2025” ha ottenuto l’approvazione definitiva del Senato avvenuta l’11 dicembre 2024. Tra i vari contenuti disciplinati dal DDL, vi sono le dimissioni per fatti concludenti
L’art. 19, intervenendo sulla formulazione dell’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015, reintroduce, nel nostro ordinamento, le dimissioni per fatti concludenti, in una formulazione ben diversa da quella che, nel 2012, era stata introdotta attraverso l’art. 4 della legge n. 92 e che, poi, era stata cancellata con la riforma del 2015.
Di norma, le dimissioni dal lavoro nel nostro Paese, per essere ritenute valide, devono essere rassegnate attraverso la procedura telematica creata dal Ministero del Lavoro.
Nel 2022 il Tribunale di Udine, con la sentenza n. 20, ritenne praticabile la via delle dimissioni di fatto, ma la Cassazione, con la sentenza n. 27331/2023, aveva ritenuto che l’unica strada percorribile per proporre le dimissioni fosse soltanto quella definita dall’art. 26, comma 7, del D.Lgs. n. 151/2015 e dal successivo D.M. applicativo.
Tale disposizione consentiva al lavoratore di allontanarsi dal lavoro senza seguire la procedura specifica (assenza ingiustificata) confidando che il datore, per risolvere il rapporto di lavoro, mettesse in opera un licenziamento disciplinare, nel rispetto delle procedure contrattuali e dell’art. 7 della, legge n. 300/1970, con il conseguente pagamento del ticket di ingresso alla NASpI, necessario per l’ex dipendente che intendesse fruire del trattamento di NASpI e dell’indennità di preavviso laddove espressamente prevista dal CCNL.
Il Legislatore nostrano ritocca l’istituto delle dimissioni aggiungendo all’art. 26 un ulteriore comma il 7-bis con il quale si dispone che in caso di assenza ingiustificata protratta oltre i termini previsti dal CCNL o, in mancanza di previsione contrattuale, per un periodo superiore a 15 giorni ne dà comunicazione all’Ispettorato territoriale del Lavoro che ha facoltà di effettuare accertamenti, ed il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore e senza applicazione della procedura telematica. La risoluzione del rapporto non avviene se il lavoratore dimostra l’impossibilità di comunicare il motivo dell’assenza per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro. Qui, l’onere della prova, magari da presentare in sede giudiziale, grava sul dipendente.
La norma presenta alcune criticità operative:
La prima riguarda il tempo necessario per considerare il lavoratore come dimissionario: esso non è uguale per tutti i settori di attività in quanto i contratti collettivi non sono tutti uguali e per le assenze ingiustificate, foriere di licenziamento, prevedono un numero di giorni diversi. Se, per ipotesi, la contrattazione collettiva non dovesse dire nulla occorrerà attendere il trascorrere di almeno 16 giorni.
La seconda questione riguarda il ruolo dell’Ispettorato del Lavoro. La comunicazione all’ITL che ha facoltà (e non obbligo) di verificare la situazione legata alle dimissioni appare, nella sostanza, una formalità priva, al momento, di riscontri effettivi. Sarà, sicuramente, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, l’organo deputato a fornire le indicazioni operative alle proprie articolazioni periferiche.
Tirando le somme, con le dimissioni per fatti concludenti ecco cosa avverrà:
A) il datore di lavoro non pagherà più il contributo di ingresso alla NASpI dovuto soltanto in caso di licenziamento, per qualsiasi motivo, di dimissioni per giusta causa, di dimissioni entro l’anno dalla nascita del bambino e di risoluzione consensuale a seguito della procedura prevista dall’art. art. 7 della legge n. 604/1966;
B) il datore di lavoro potrà trattenere, all’atto della erogazione delle competenze di fine rapporto, l’indennità di mancato preavviso se, appunto, non è stato lavorato;
C) il lavoratore, essendo dimissionario e non licenziato, non potrà fruire del trattamento di NASpI che spetta soltanto nella ipotesi in cui il lavoratore abbia perso il posto involontariamente attraverso il recesso del datore di lavoro o nelle ipotesi di dimissioni equiparate dal Legislatore al licenziamento.