Gestione del contratto a termine: come evitare rischi e sanzioni
Gentile Cliente,
Quando si stipula un contratto a tempo determinato, sia il datore di lavoro che il lavoratore si impegnano a rispettare gli accordi fino alla data di scadenza. Tuttavia, ci possono essere situazioni in cui è necessario modificare il contratto, ad esempio prorogandolo, proseguendolo oltre la scadenza, o risolvendolo anticipatamente. In tutti questi casi, è importante rispettare le norme per evitare conseguenze legali, sanzioni o il rischio che il contratto venga trasformato in un rapporto a tempo indeterminato.
Una delle modifiche più comuni riguarda la proroga del contratto. Fino a un massimo di 12 mesi complessivi, il datore di lavoro può prorogare il contratto senza dover fornire una motivazione specifica, a patto che il lavoratore sia d’accordo. Oltre i 12 mesi e fino a un massimo di 24, invece, è necessario che ci sia una ragione giustificativa tra quelle previste dalla legge. Inoltre, il numero massimo di proroghe consentite è quattro, indipendentemente dal numero di contratti stipulati. Se questi limiti non vengono rispettati, il contratto si trasforma automaticamente in un rapporto a tempo indeterminato, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Un’altra situazione possibile è la prosecuzione di fatto del contratto, cioè quando il lavoratore continua a svolgere la sua attività oltre la scadenza prevista, senza che il contratto sia stato ufficialmente prorogato. Questo può succedere quando le esigenze produttive rendono difficile stabilire una data di fine precisa. In questi casi, la legge consente la continuazione del rapporto per un periodo limitato: 30 giorni se il contratto iniziale era inferiore a 6 mesi, 50 giorni se era pari o superiore a 6 mesi. Tuttavia, per ogni giorno aggiuntivo, il datore di lavoro deve riconoscere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione (del 20% per i primi 10 giorni e del 40% per quelli successivi). Se questi limiti vengono superati o il datore non paga le maggiorazioni previste, il contratto si trasforma in un rapporto a tempo indeterminato.
Può anche capitare che il contratto debba essere interrotto prima della scadenza prevista. Se entrambe le parti sono d’accordo, si può procedere con una risoluzione consensuale, ma per essere valida deve essere ratificata attraverso una procedura telematica presso l’Ispettorato del Lavoro, il collocamento o un patronato. È importante sapere che, in caso di risoluzione consensuale, il lavoratore perde il diritto alla NASPI (l’indennità di disoccupazione), a meno che la cessazione del rapporto non avvenga in specifici contesti, come il rifiuto di un trasferimento aziendale oltre una certa distanza.
Se invece è il datore di lavoro a decidere di interrompere anticipatamente il contratto, lo può fare solo in presenza di una giusta causa, ad esempio per gravi mancanze del lavoratore che compromettano il rapporto di fiducia. Se il recesso avviene senza giusta causa, il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno subito dal lavoratore, che comprende sia la perdita immediata della retribuzione, sia il mancato guadagno fino alla data in cui il contratto sarebbe scaduto. Per evitare controversie, il datore potrebbe proporre un accordo economico al lavoratore tramite una conciliazione preventiva.
D’altra parte, se è il lavoratore a dimettersi prima della scadenza, il datore può (facoltà) richiedere un risarcimento del danno, ma deve dimostrare concretamente che l’interruzione improvvisa del rapporto ha causato un pregiudizio all’azienda. Solo in questo caso può (facoltà) trattenere una somma in busta paga o chiedere un risarcimento equivalente alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito fino alla naturale scadenza del contratto.